4 dic 2018

nazaré


"...ma la paura che ci fa quel mare scuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai"

Se penso al Portogallo mi viene in mente Wim Wenders, e quell'hotel eroso dall'Oceano ne 'Lo stato delle cose'. Mi vengono in mente antiche stampe di pescatori che spingono a braccia le loro lance. Un mare, quello oltre le Colonne d'Ercole, che è amico dell'Uomo quanto lo è la montagna: per niente.

Il mio viaggio inizia da lì, dall'inquietudine che (l'ammetto) fatico a condividere con la gente di pianura, ma c'è, è innegabile: solo un polinesiano può non averla. Lisbona può attendere. Sono appena arrivato ma a Nazaré si formano le onde più alte del pianeta e oggi è previsto un vento sui 40 nodi. Non m'aspetto l'onda del secolo. Le onde di quasi trenta metri non si formano per le condizioni locali, ma in Labrador. I marinai lo chiamano mare di fondo, la forza che una volta messa in moto fatica a estinguersi. L'onda oceanica monta lentamente, ma ha bisogno di giorni, settimane per placarsi. Si appiattisce e si stende, ma non si ferma mai.

La spiaggia a sud, davanti al paese, val bene una colazione, ma quello che succede dopo il promontorio è tutt'altra cosa. Oltre il promontorio c'è il paradiso dei surfisti. Un luogo che qualcun altro potrebbe chiamare inferno. Basta salire in cima al faro per capire di cosa si tratta. Il mare sembra bianco d'uovo montato. Il passaggio veloce delle nuvole lancia sprazzi di luce su una spiaggia che in Mediterraneo non vedremmo mai. Mi ricorda la Skeleton Coast, novemila chilometri più a sud, ma con lo stesso affaccio: l'Oceano Atlantico.

Le onde più alte del mondo si formano lì, a Nazaré, per una configurazione del fondale: un canyon sottomarino profondo duemila metri, una specie di imbuto che spara l'energia verso l'alto.
L'onda ha un sopra e un sotto, è una specie di ruota. Noi vediamo solo ciò che spunta. Un'onda alta tre metri ma lunga un chilometro ha un raggio immenso. Quando s'avvicina alla costa s'innalza e s'accorcia. Se il vento è di terra si alza ancora di più.


Il vento è da nord e l'onda è solo di tre, quattro metri, ma quando s'abbatte corre per mezzo campo da calcio. Un'onda di dieci non corre sulla spiaggia per il triplo della distanza: è la lunghezza che fa la differenza. Come negli tzunami.
Ma non sono lì per fare calcoli matematici. Sono lì perché voglio esplorare qualcosa di ancestrale che solo quel luogo conserva.

"Il mare non è mai stato amico dell'uomo, semmai è stato complice della sua irrequietezza" - Joseph Conrad

Dovevano essere irrequieti, i portoghesi, per sfidare ogni giorno qualcosa del genere fino al punto di insegnare al mondo come navigare. Colombo, quello che osò il grande balzo, come uomo di mare si era formato con loro. Era, di fatto, un portoghese. Sì, ci riuscirono i vichinghi prima di lui, ma l'ufficio stampa vichingo fallì nel farlo sapere in giro, e oggi il mondo non festeggia il il Red Erik Day, ma il Columbus Day.

Sto divagando. Torno a quel senso d'inquietudine che ti dà l'oceano in tempesta. Anche se il Mare Nostrum può essere più infido. Il Maestrale monta onde alte e corte i poche ore, come succede in scala minore nei laghi alpini. Ma un conto è sapere cosa c'è di là, un conto è non saperlo. Ma anche sapere che di là ci sono migliaia di miglia nautiche non aiuta la testa. Ci vuole un bel coraggio. Oggi tutto è appiattito. Fai la fila al check-in, passi i controlli, ti siedi su una poltrona comoda e in poche ore sei dall'altra parte. 

Mia madre quel mare l'attraversò da piccola: da Buenos Ayres a Genova. Un altro in famiglia lo fece al contrario, da Trieste a Buenos Ayres, dove naufragò. Fu l'unico superstite, aveva dodici anni. Era scappato di casa per imbarcarsi come mozzo. Mia madre e mia nonna fuggivano dalla guerra del Chaco. Mio zio da se stesso. Mia madre ebbe sempre paura di 'quel mare scuro che si muove anche di notte e non sta fermo mai'. Amava le spiagge turchesi.

La tempesta peggiore l'ho vista nel Med. Allora pensai di morire. Oggi mi viene da ridere, ma non c'era niente da ridere. Non era solo la tempesta, il mal di mare (scoprii in quel frangente di soffrirne) mi aveva ridotto a uno zombie. Difficile pensare positivo mentre tagli le vele col coltello e stai vomitando.



Sono a Nazaré perchè voglio vedere l'oceano con gli occhi di un uomo di cento, cinquecento anni fa. Voglio indovinare i suoi pensieri, l'inquietudine che si prova a dormire con quel fragore che entra nei sogni. Ho vissuto quasi sempre al mare, a due passi dal mare, praticamente in spiaggia. Ho sognato spesso onde gigantesche, trasparenti. Onde che possono distruggere città. Io ci nuotavo dentro, ero l'unico superstite e l'onda mi risucchiava nel suo ventre, mi sollevava in cima al mondo. Ho indagato spesso quell'estasi mista a terrore. Non era esattamente un sogno o una visione, in onde oceaniche belle grandi mi ci ero ficcato davvero. 

Le vedo.
Sono le imbarcazioni dei balenieri che s'infilano nel bianco d'uovo montato, i marinai spingono come invasati. Le prue si alzano quasi in verticale, ma loro non si arrendono. Sono lunghe perché devono tagliare l'onda come un coltello, non assecondarla. I marinai saltano a bordo e remano. In un attimo sono fuori dal surf, e l'occhio spazia sull'orizzonte infinito. La libertà è la legge cui scegliamo di adeguarci. La cera di un capodoglio illuminerà le case sulla costa. Niente a che vedere con le baleniere norvegesi o giapponesi, no. Quei marinai là erano altra roba.

Il mio viaggio si concluderà tra pochi giorni, al Museo Marittimo di Belem e al Monasterio dos Jeronimos, dedicato ai naviganti, ma nessun satori.
Davanti a loro e a quel mare restiamo tutti 'con quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così', perché quei marinai andavano, senza le app sul meteo, andavano spesso a naso e a volte funzionava, ma a volte no. Non possiamo sederci comodi e chiamarli ingenui, avevano davanti la più grande incognita umana, ma l'affrontavano lo stesso, con quello che avevano in mano. Con le loro mani salate.

Questo ho capito, a Nazaré.





2018 © claudio di manao 
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