Tutto m’aspettavo tranne un’aula multimediale con le travi a vista sui muri in pietra. Eppure il nome del luogo, ‘cascinetto’, avrebbe dovuto suggerirmi qualcosa. Entro sotto la pioggia battente col dovuto anticipo. Non si sa mai con chiavette USB, cavetti, formati ODP, Pwp, compatibiltà tra Micio-32 e Millennium/Falcon.
E infatti... Mentre convertiamo febbrilmente i file la sala inizia a riempirsi. Si riempie, e si riempie. Finché non c’è più posto e c’è ancora gente in fila giù per le scale.
Gli eventi DAN sono così.
Il Dott. Torcello (che ho avuto il piacere di conoscere in quest’occasione) parlerà di gestione dello stress, ansia e panico nell’immersione. Umberto Giorgini, di DAN Europe, ci illustrerà la gestione dell’emergenza sub, analisi e statistiche dell’incidente subacqueo.
Roba seria. E come al solito sono l'unico non scienziato.
Cristian, di DAN Europe, mi aveva detto su Skype:
“Affronta il tema viaggi ed esplorazioni. Come sai fare tu.”
Come so fare io significa che devo farli ridere tutti. Sono tanti, sono assai più di 100, e io non sono Crozza, sono uno scrittore. Me la cavo degnamente a tu per tu con una tastiera nel mio buco, ma il pubblico dal vivo è ben altra cosa. Ascolto gli altri interventi. Mi godo il privilegio di essere lì, ad assorbire da professionisti unitisi a noi in carne e ossa, per spiegarcela per bene. Altro che i guru da forum o da facebook.
Tocca a me.
Sto per raccontare a tutti come viaggiare da sub. Ovviamente la storia dei 15kg la conoscono tutti, quindi parto dal viaggio per la conquista del mondo dell’homo sapiens e poi passo alla sua sub-specie che ci interessa: il sapiens subaquaticus. Ci metto dentro le prospettive e la visione dei vari gruppi etnici sulle destinazioni subacquee. Ci metto pure le mappe.
Beccatevene una: come i subacquei americani vedono le diving destination mondiali.
(funziona meglio ingrandita)
Ecco che già sghignazzano.
Bene, vado avanti a fare quello che mi piace di più: raccontare fatti veri - o quasi veri - come se fossero barzellette, ma ficcandoci dentro nozioni e concetti che (spero) siano utili. Conto sulla risata come aggrappante per superfici porose. Poi l'assalto-abbraccio per le dediche sui miei libri.
L'avevo già intuito dalla risposta del pubblico, ma a fine serata ne ho le prove:
i subacquei che frequentano il Bergamo Diving Center, e i membri delle altre associazioni che gravitano intorno al club, sono di una simpatia e di una cordialità unica, con il Beppe, il presidente, in pole position. Sono tutti professionali, seri ed efficienti (lo racconta il fatto che abbiano ospitato un evento DAN e che abbia funzionato impeccabilmente) ma non hanno mai perso di vista l’obiettivo principale della subacquea: lo stare insieme e divertirsi. Scopro, tra pizza e birre, che ogni anno partecipano alla storica ‘Pinnata sull'Adda’: un bel tratto di fiume da percorre a nuoto.
Wow!
Al mattino dopo io e Mary Poppins ce ne andiamo a esplorare i dintorni. Per chi non lo sapesse, i dintorni di Bergamo sono incantevoli. Scordatevi il paesaggio che vedete dall'autostrada verso Orio al Serio. Tutt'altra roba. I capannoni ai lati li hanno messi lì solo per far desistere dall'esplorazione i clienti Ryan Air, quando restano a piedi.
È passato più di un mese ed io ho ancora certe battute da fine cena nella testa. E il calore. L’accoglienza. Lo spirito. Posso fare una previsione per il 2020: torneremo.
Il 15 luglio del 1979, quando il Capitano Paul Watson avvistò la Sierra, nave baleniera pirata, stappò una birra soddisfatto: aveva trovato l’ago nel pagliaio.
Partito dal porto di Boston quindici giorni prima lo skipper canadese, allora ventinovenne, aveva percorso migliaia di miglia nautiche con un solo obiettivo in testa: speronare la Sierra. Voleva mettere fine al massacro illegale dei cetacei, un massacro stimato, fino a quel giorno, in 25.000 esemplari. Con la scusa delle competenze territoriali, capitanerie di porto e autorità marine sembravano ignorare le malefatte dalla baleniera...
La mareggiata del 29 ottobre 2018 aveva distrutto tutto. S’era portata via il compressore, fatto a pezzi la piattaforma di cemento. Il mare era entrato nel ristorante, alto un paio di metri sulla spiaggia. A memoria d’uomo non s’era mai vista, lì a Bergeggi, una tempesta del genere. Era uno dei tanti accessori nel pacchetto CO₂.
Ma la natura ferita non guarda in faccia a nessuno, quando distrugge. E chi deve farci i conti è spesso chi proprio dalla natura ricava un sostentamento, senza prendere niente, solo mostrando la sua bellezza.
Allora i ragazzi del Triton Diving Club, Alex, Marica, Riccardo, Sergio e Silvano, insieme ai gestori della struttura cui il diving si appoggia (la splendida famiglia Aimar) si sono rimboccati le maniche e hanno affrontato un’altra stagione, con una logistica del diving ridotta a metà.
Il loro party di fine stagione è uno dei rari eventi che dissolvono la nostalgia, quella dei vecchi tempi di Sharm, dove i party erano cosa sacra. Anche per fare casino ci si organizzava seriamente, da veri professionisti. Come quella volta che cercammo di far volare una mongolfiera/calamaro gigante e per poco non prese fuoco il Fanar.
Chiudo la divagazione qui: siamo a Bergeggi, il tempo è così e così, la giornata d’immersioni è finita e s’accendono le lucette di un inquietante scatolone nero. Scopro che è un set da karaoke.
A rotelle.
Riccardo prende in mano il microfono. Neanche gli animatori del Venta riuscivano a far cantare i subacquei tecnici e i cinquantenni col brevetto FIPSAS. Lui ci riesce: uno per uno i club subacquei danno spettacolo. Io sto per cadere dalla sedia: ai club con la percentuale più alta di omaccioni toccano le canzoni più sceme.
Tra una canzone e l’altra per riposare i timpani, e gli addominali provati dall'esercizio della risata, c’è l’estrazione dei regali. Riccardo riprende il microfono e passa un sacchetto ad un bambino. Da quando in Italia esiste la tombola è sempre un bambino ad occuparsi dei numeretti. E Bergeggi è in provincia di Savona. Piovono magliette, sconti, libri… baciabbracci e cotillons.
Ma questo è stato un anno veramente tosto per il Triton, una fatica disumana, oltre alla perdita economica. Bene: Riccardo e Marica e Silvano hanno pensato di aggiungere qualcosa di veramente personale ai premi. Vogliono ringraziare tutti coloro che hanno sostenuto il Triton, con le loro presenze e il loro affetto. Ogni coppia, ogni famiglia, ogni club, riceve un certificato o una targa.
“Friends will be friends”
recita la scritta tra i nomi e il logo. Accanto, la foto artistica di uno spirografo. I piccoli sub ricevono un certificato di 'Amico del Mare'
A questo punto Marypoppins sta per commuoversi. Devo farne una delle mie: prendo un microfono e con Ric ci mettiamo a cantare Subacqueo, sulle note di Azzurro (trovate il testo QUI).
Beh, inutile dirvi che da qualche anno, quando esce un mio nuovo libro il Triton Diving Club è il primo diving dove vado a presentarlo.
È partito tutto con uno splendido Shamandura Day, grazie ad Enrica, ex divemaster del Triton, vittima orgogliosa dell'omonimo romanzo. Seguirono altre giornate, come la presentazione di Io sono il Mare, e se mai ne scriverò un altro, sapete già dove avrà luogo la ‘prima mondiale’. Sarò anche sott’acqua, ovviamente, Ric, Marica e Silvano sono dei professionisti anche quando non si tratta di puro cazzeggio, e le immersioni sono quelle da area marina protetta.
Un’ultima cosa:
il Mar Rosso è sempre lì dove l’ho lasciato, lo so che c’è, basta andarci. Quindi non erano tanto i coralli e un certo relitto a mancarmi troppo, quanto l'irripetibile: i Deco-boys, i loro concerti, le nostre parodie. L'ammetto, mi mancava quell’atmosfera dei party presi religiosamente sul serio, veri e propri eventi costruiti con pazienza, con amore. Fu ridendo di noi stessi (noi non riuscivamo a prenderci troppo sul serio) e sdrammatizzando momenti difficili che laggiù a Sharm avevamo costruito un gruppo sociale unito, con le sue arti, la sua cultura identitaria, il suo poema spontaneo.
Rubo il titolo ad
uno dei miei racconti più amati perché questa storia sembra uscita da lì. Si sta svolgendo adesso, in questi giorni, in un arcipelago forse
per noi remoto, ma la sua vicenda è emblematica. Lo è per gli attori, per lo
scenario e per le dinamiche che la abitano.
C’è una baia che ricorda
il Paradiso in Terra, con la vegetazione tropicale ai fianchi e alle spalle,
costellata di calette dove rivoli e cascate scendono dalle montagne per
gettarsi in mare. In fondo alla baia c’è una grande spiaggia attraversata da un
piccolo fiume cristallino.
L’unica presenza
umana è rivelata da un villaggio ormai semiabbandonato, dove vivono soltanto
diciotto anime. Anime per lo più in pensione o indaffarate altrove. Riposano
appena più numerosi i morti nel cimitero, con le sue tombe che guardano l’Oceano
Pacifico.
La spiaggia si
popola ogni tanto di surfisti, quasi tutti locali. Turismo di massa e mondo
moderno sembravano aver ignorato quest’oasi preistorica che la gente dell’isola
chiama affettuosamente Jurassic Beach. Ma il mondo moderno non tollera enclavi
di passato, la sua dottrina è crescita, profitto, espansione. A discapito della
bellezza e della biodiversità. Il mondo moderno usa tutti i mezzi, dalle
minacce alla corruzione, dal sabotaggio alla falsificazione, delle notizie e dei
documenti presentati per i suoi scopi.
Dove si svolge
questa storia ve lo dirò più avanti. Sappiate che si svolge sul nostro pianeta.
Chi ha letto Caraibi riconoscerà Julian, l’Eroe di Playa Grande e Alvaro, il
boss della spiaggia. Perché tutto il mondo è paese davanti alla rapacità, come
davanti al riscaldamento globale.
Tra poco su
Jurassic Beach lo costruiranno, quel muro. Sarà alto sei metri e mezzo e lungo quasi duecento. Ne volevano erigere uno lungo più del doppio. Sostengono che l’erosione della spiaggia minaccerà il villaggio. Ma non è vero:
le foto presentate alla Prefettura di Kagoshima (ecco un altro suggerimento sul
luogo) ritraggono la spiaggia nel momento della sua massima erosione dopo un
tifone nel 2014. Quel tifone lì fu particolarmente violento. Il massimo della
marea coincise col massimo della bassa pressione, con il massimo del vento e
col massimo delle onde. E, probabilmente, col massimo dello sfruttamento della
sua sabbia, perpetrato in mare e nel letto del fiume cristallino, a beneficio
di una compagnia mineraria. Poi la spiaggia ha continuato a espandersi. Quella è l’unica spiaggia del Paese dove è
stata fotografata una tartaruga liuto, la specie più grande del mondo (ovviamente
in pericolo) nel 2002. Una spiaggia che sembra perfetta per deporre le uova, ma
da tempo non vengono censiti nidi di tartaruga.
Il Paese è il
Giappone, un paese tanto capace di stupirci per la sua tecnologia e
organizzazione, per la gentilezza che trovi in strada, per l’arte e la cultura che
ti sopraffanno. Quanto nel lasciarci basiti per certe posizioni sull’ambiente,
soprattutto marino. D’altronde anche l’Italia lascia basito il resto del mondo
per come tratta le sue risorse, naturali, umane e culturali.
L’isola è quella
di Amami e fa parte dell’arcipelago delle Ryūkyū, un lungo arco che si stende
dalle isole maggiori verso Taiwan per novecento chilometri. Okinawa, la più
famosa, se ne sta quasi al centro dell’arco. Una storia antica e complessa,
quella delle Ryūkyū, con una lingua ed una cultura che si differenziano da
quelle del Giappone. Laggiù anche la religione indigena è diversa, e non è raro che ci si rivolga a una Yuta, una sciamana, per un consiglio sulle
questioni importanti. Per moltissimi versi questa storia è identica a quella
che ho ambientato ai Caraibi, con la differenza che la costruzione di un
albergo sarebbe stato un bene, in questo caso.
Ci sono più eroi,
in questa vicenda, che si battono per proteggere una bellezza naturale ed un
raro ecosistema dal cemento. Il più agguerrito di tutti si chiama Jean-Marc
Takagi. Jean-Marc, come Julian, sarebbe pronto ad incatenarsi ai bulldozer pur
di salvare quella spiaggia. Nato e cresciuto a Parigi, a sette anni amava la natura
e sognava l’Amazzonia. Si domandava perché gli umani costruissero giungle di
cemento. A diciotto anni scappa in Giappone, da cui ha origine la sua famiglia.
Finisce alle Hawaii, a studiare ingegneria. Le facoltà di ingegneria delle Hawaii forse non sono le più famose del mondo, ma sicuramente lo sono le onde dei quell'arcipelago, dove Jean-Marc può praticare il surf,
allora la sua attività preferita. Ci metterà qualche anno a trovare il luogo
dove stabilirsi ed esprimere quel bisogno di contatto con la natura selvaggia,
trasformandolo in quotidianità.Lo trova molti anni dopo, scandagliando le immagini di Google Earth.
“Amami, vista dal
satellite, era l’isola più verde di tutte.”
Le spiagge della
sua infanzia in Giappone erano state tutte erose, devastate dalla costruzione
di moli e muri di cemento. Me le ha fatte vedere su Google Maps, le spiagge
della sua infanzia, descrivendomi com’erano. E nel guardarle pensavo alle mie.
Il Giappone
produce tanto cemento quanto ne producono gli Stati Uniti, con una popolazione
di poco più di un terzo di quella americana e una superficie neanche
lontanamente paragonabile. Lo produce e lo usa tutto: secondo alcune scale le
coste giapponesi sono cementificate per oltre il 50% della loro estensione. L’isola
di Amami non era certo esente da questo flagello, molte spiagge erano state
‘protette’ dall’erosione con muri di cemento, altre baie erano state
trasformate in porti. Ma le montagne e la vegetazione fitta rendevano impervi molti
dei suoi luoghi. Laggiù Jean-Marc si trasforma in guida naturalistica,
accompagnando turisti in vere e proprie avventure in ambienti
selvaggi, circondati da un raro ecosistema. Un ecosistema capace di ospitare
specie ormai estinte altrove. La spiaggia di Katoku, Jurassic Beach, è ancora
uno di quei luoghi selvaggi. Ma un giorno il mondo moderno si accorge della sua esistenza. E inizia a sfruttare le sue risorse in modo invisibile.
“I primi a notare
cambiamento sono stati i surfisti. Le onde non rompevano allo stesso modo, era
sparita il sand-bar la secca sabbiosa al largo. Non so dire se per la manipolazione
del letto del fiume o per le attività illegali di una certa compagnia mineraria
che prelevava la sabbia al largo, ma qualcosa era decisamente cambiato nel
fondale già prima del tifone. La mancanza di quella secca sommersa ha dato via
libera al mare. Non c’era più nulla a rompere le onde prima che s’avventassero sulla
spiaggia.”
Per fare il vetro
e il cemento serve sabbia. All’inizio la compagnia mineraria ha iniziato a prelevare dal letto
del fiume, dove anni prima erano stati rinvenuti reperti del periodo Jōmon, corrispondente
al nostro neolitico. Poi in mare, illegalmente, approfittando del buio della
notte, qualcuno continua a prelevare illegalmente.
Le prove raccolte da Jean-Marc dopo il tifone del 2014 dimostrano che la spiaggia di
Katoku subì un restringimento, ma poi ha ricominciato a espandersi. Artefice
del miracolo è proprio quel fiume cristallino. Una volta lasciato in pace nel
suo corso parallelo al mare, il fiume ha ripreso ad alimentare la spiaggia in
tutta la sua lunghezza.
“Ci sono stati dei
tentativi, documentati, di far tirare dritto il fiume verso il mare, scavando
un canale perpendicolare alla spiaggia. Appellandoci alla legge sulla trasparenza
in vigore in Giappone, insieme alla
Nature Conservation Society of Japan,
abbiamo richiesto la documentazione alla Prefettura sulle opere
fluviali. Dopo non poche resistenze siamo entrai in possesso di immagini ritoccate o datate 2015, cioè successive agli interventi sul fiume e
precedenti al riassestamento naturale della spiaggia. Hanno cominciato nel
2013, un anno e mezzo prima dell’evento di erosione, ma ci ha inviato
solo documenti risalente al 2015."
"Le loro attività cessano ad aprile 2017, subito dopo che
abbiamo iniziato a indagare. Penso si siano preoccupati molto. Malgrado le richieste
non ci è stata fornita alcuna documentazione precedente al 2015, né alcuna
spiegazione sul perché sono stati condotti gli scavi lungo il fiume. Tutti i
nomi delle compagnie appaltatrici erano cancellati. Nessuno è stato in grado di
fornire un motivo per quei lavori. Solo dati sui costi, ma nessuna
spiegazione. E le uniche foto depositate in prefettura sono del 2015. Nessuna delle foto in Prefettura documenta la riespansione della spiaggia!”
La prima cosa che
viene in mente è un atto di grande stupidità o inettitudine ma, va ricordato,
questi due pericolosi mali frequentano poco il Giappone. Jean-Marc ha un
sospetto:
“I vecchi
giapponesi mi raccontano che negli anni ’60 e ’70 i sabotaggi erano all’ordine del
giorno. Le imprese costruttrici minavano i fianchi delle montagne per provocare
frane e poi ottenere gli appalti per metterle in sicurezza.”
Già dal 2016,
dopo che le intense piogge alimentarono il fiume, la spiaggia tornò ad
espandersi. Ma il progetto del muro viene approvato lo stesso: quella di Katoku
beach, sulle carte depositate, è un’espansione fantasma: le foto depositate, lo ricordo, sono tutte del 2015.
Jean-Marc e
l’associazione Amami World Heritage, per pagare avvocati e professionisti in
grado di raccogliere prove e dati di qualità, lanciano un crowdfunding. Contattano
un ricercatore dell’Università di Okinawa, un biologo marino specializzato
nella cementificazione delle coste. È stato testimone e relatore della
scomparsa di vaste aree di corallo nella sua isola a causa delle barriere di
cemento.
In un paese
flagellato da molti tifoni e qualche Tsunami, in previsione d’un aumento del
livello dei mari, qualcuno può restare perplesso sull’opportunità di
impedire la costruzione di un muro. Ma basta scandagliare alcune immagini,
nella nostra memoria di vita vissuta, o di repertorio se non siamo avvezzi a
lunghe spiagge selvagge, per accorgerci che davanti a ogni spiaggia veramente profonda
non c’è mai un muro, di cemento o roccia che sia: dietro ogni grande spiaggia
c’è sempre un fiume, o delle dune. O, come a Katoku, tutt’e due. Le dune sono
un capolavoro di resilienza: non si oppongono alla forza dei venti o dei mari
ma la assecondano. Compattate dalla vegetazione assorbono e rilasciano acqua e
sabbia gradualmente. I dati raccolti dopo lo Tsunami del 2004 in Indonesia
dimostrano che lungo le coste che ospitavano dune e mangrovie si sono
verificati i danni minori. È questo il motivo per cui in alcuni laghi vengono
impiantati dei canneti per proteggere coste e manufatti dall’erosione. Dune,
mangrovie e canneti hanno la stessa efficacia dei muri di cemento, con una
enorme differenza: in quelle piccole foreste naturali trovano cibo e riparo
innumerevoli specie. Uccelli marini, insetti, pesci e piccoli anfibi usano foglie,
steli, radici per deporre le loro uova, costruire nidi, allevare i piccoli al
riparo dai predatori. Le dune soprattutto, come i fiumi, regolano l’umidità
degli arenili mantenendo la sabbia compatta e pesante, pronta a resistere ai venti.
Nidi di tartaruga su Jurassic Beach
Due strane
sorprese.
Il nostro
ricercatore da Okinawa, dopo 15 ore di traghetto dormendo sulle stuoie, alla
giapponese, sbarca sull’isola di Amami. Attraversa le montagne e finalmente
giunge a Katoku, a Jurassic Beach. Come mette piede su quella spiaggia ha la
prima sorpresa. Davanti a lui qualcosa che negli ultimi anni non era mai stato
registrato. Trova ben otto nidi
di tartaruga. Emersi da uno stargate. I rapporti degli anni precedenti,
condotti da personale non specializzato, avevano registrato sistematicamente il
valore zero davanti alla casella tartarughe. Zero nidi e zero avvistamenti di
tartarughe in mare. Così per anni.
“Eppure i
surfisti mi hanno detto di averne avvistate spesso in acqua. Eravamo in molti dell’idea
che la spiaggia e le acque antistanti fossero una zona importante di
riproduzione.” Riferisce Jean-Marc.
Se la prima sorpresa
giunge gradita, nella seconda le cose prendono una piega sinistra. Il lavoro del
ricercatore è anche quello di intervistare con metodo scientifico la comunità
locale. Comincia col capo del villaggio. Ogni villaggio, in molte comunità, si
munisce di un responsabile che si occupa di trattare con l’amministrazione pubblica
e di disporre lavori, tra i quali il muro.
“Il capo
villaggio? S’è rifiutato di parlare con me, mi ha scattato due foto e poi s’è
chiuso in casa” mi ha raccontato il ricercatore.
Noi italiani sappiamo tutti cosa pensare davanti a un atteggiamento del genere. Pensiamo una parola sola. Mafia.
“È un tipo
minaccioso e violento”
Un paio di testimoni l'hanno detto, ma non hanno voluto esporsi. Tra gli abitanti del villaggio solo uno si è schierato apertamente contro la costruzione del muro. Gli altri si son chiusi in uno strano silenzio.
“Qualcuno del
nostro comitato, al di fuori del villaggio, si è ritirato. ‘Pensa al lavoro, al
benessere della tua famiglia’, gli è stato detto. Il capovillaggio è il
fratello di uno dei papaveri nel consiglio di amministrazione proprio di quella
compagnia mineraria interessata alla zona” riferisce Jean-Marc.
Intanto però, le
casseforme sono già in fila alle porte di Katoku. Attendono le betoniere. Volevano
tagliare dei pandani in cima alle dune per favorire il transito dei pesanti
mezzi. I pandani sono piante resistenti agli ambienti salini ed offrono un
ottimo servizio alle spiagge: consolidano le dune.
Il granchio
eremita viola.
“I pandani non
sono una specie protetta - ha risposto la Prefettura - in compenso stanno
argomentando su un’altra specie protetta che invece si nutre dei loro semi: il
granchio eremita viola presente su questa spiaggia. È evidente quanto sfugga la
big picture.”
Ma qui la mafia
c’entra poco. C’entra semmai la cronica incapacità delle ‘moderne’
amministrazioni di confrontarsi non solo con la scienza, ma con le nozioni più
elementari sulla natura. Un problema globale. Ma ci sono modi diversi di reagire
allo stesso problema. Da noi sarebbero partiti subito i sassi e le molotov, gli
attivisti di Amami invece hanno piantato altri pandani. Lo hanno fatto con
l’aiuto di una scuola elementare locale.
Su quei germogli è stato posto un cartello:
“Questi pandani
sono stati piantati dai bambini”
Nulla più di quel
cartello ci parla del pianeta e in quali condizioni lo stiamo consegnando alle
future generazioni, quelle di Greta Thunberg, che si trovano sfidare non ancora
maggiorenni una natura devastata e un mondo politico che ignora i suoi problem. Un mondo in cui i prepotenti hanno
libertà d’azione.
La sciamana
Una delle scuse
per proteggere una manciata di case con un costoso muro è il cimitero. Un paio
di anni fa a Yakushima, un’isola dello stesso arcipelago, ero rimasto colpito
dalla meravigliosa vista di cui godeva un cimitero minuscolo. Da sopra un
rilievo davanti alla spiaggia piccole steli di pietra sembravano godersi il
respiro del mare. Restai in silenzio per chissà quanto. Che grande rispetto dei
morti devono avere, m’ero detto, per non far sorgere qui sopra un Ryo-Kan, o un
lussuoso eco-lodge. Sarebbe un posto magnifico per il turismo. Probabilmente,
conclusi, questa è una cultura che conserva antiche tracce animiste. Non mi
sbagliavo. La religione locale si basa su divinità che rispecchiano le forze
naturali e il culto degli antenati. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se a
Katoku è stata interpellata una Yuta, una sciamana. Ma anche il suo verdetto è senza
appello:
“Antenati e
spiriti della natura non amano il cemento.”
Come andrà a
finire lo sapremo solo dopo il 30 agosto. Quel giorno un giudice visiterà la
spiaggia, parlerà con le persone presenti e si farà una coscienza.
Chissà se
Jean-Marc, come Julian, dovrà incatenarsi ai bulldozer per evitare lo scempio. Io
spero di no, ma in questo possiamo contribuire tutti, semplicemente firmando
una petizione, che in un paese come il Giappone ha ancora il suo peso. Possiamo
dare una mano promettendo di andare a visitarla, Jurassic-Beach, l’ultimo
paradiso di Amami, ma di farlo solo se non ci sarà un muro di cemento. Possiamo
sperare di trovare ancora quei cartelli, semisommersi dalle piante cresciute e divenute
alte e più forti. Come la coscienza ambientale delle nuove generazioni.
Tempo di vacanze tempo per leggere, in barca o sotto l'ombrellone. Il mio ultimo libro: 'Io sono il mare' (versione digitale) sarà in offerta fino al 10 luglio a 2,99 Euro invece di 4,99su tutte le piattaforme.
'Io sono il mare' è stato presentato al DiveItaly di Ustica,
è stato l'oggetto di un PADI Webinar
Le recensioni più autorevoli:
Massimo Boyer su Scubazone n°34
Thomas, una figura carismatica benché scalcinata di istruttore sub, mentre cammina nel fango di una laguna incontra Bahira, una donna bellissima che gli si presenta come il mare. In prima persona gli racconta dei rischi che minacciano i reef, il pesce, tutti gli ecosistemi marini (rischi che, ahimè, conosciamo bene) e gli chiede aiuto. Vai, diventa madre, brevetta quanti più nuovi subacquei riesci a brevettare, infondi in loro il rispetto verso le creature marine, fai in modo che i tuoi seguaci diventino dei difensori del mare.
E Thomas si attrezza con compressore, attrezzature sub, carica tutto su una buffa ape fucsia, e inizia il suo viaggio verso sud, lungo le coste martoriate del Mar Rosso. Istruttore carismatico, profetico, guru suo malgrado (a tratti mi ricorda vagamente Brian di Nazareth nell’omonimo film dei Monty Python), si limita in realtà a quello che sa fare, e inizia a regalare ai suoi proseliti immersioni indimenticabili.
Si sparge la voce che Thomas guarisce dalle paure, cosa che non è sbagliata. In realtà chi mette la testa sott’acqua si libera di paure irrazionali, dell’immagine dei mostri “che ti tirano giù nell’abisso”, e grazie anche all’atteggiamento calmo e disincantato dell’istruttore dimentica anche altre paure più terrestri. Comincia un racconto on the road, fatto di immersioni, di incontri, di dialoghi illuminanti e di riflessioni agrodolci sullo stato degli oceani, riportato con realismo scientifico. Lascio a voi scoprirli.
Ben documentato, una lettura trascinante, l’unico rammarico che ho scrivendo queste righe è che saranno dei subacquei a leggermi, per lo più. Invece il libro è rivolto soprattutto a chi sub non è ancora. Bisognerebbe che veramente il verbo potesse essere diffuso presso i non sub, esortarli a vincere le loro paure, ma questa è un’altra storia. Ci vorrebbe Thomas!
"È tempo di agire in modo deciso: il mio messaggio ai governi è chiaro: tassare l'inquinamento, smettere di sovvenzionare i combustibili fossili e cessare la costruzione di nuove centrali a carbone, abbiamo bisogno di un'economia verde e non di un'economia grigia". - Segretario generale, António Guterres
La pagina ci ricorda quanto siamo stati capaci di modificare il nostro ambiente e come la scienza e la tecnologia ci hanno permesso di farlo su una scala senza precedenti.
Le Nazioni Unite, prosegue l'articolo, "sono consapevoli del fatto che la protezione e il miglioramento dell'ambiente umano sono una questione prioritaria, che riguarda il benessere delle popolazioni e lo sviluppo economico in tutto il mondo."
Ogni giorno assistiamo a ingenti perdite economiche e umane a causa dell'inquinamento e dell'emergenza climatica. Dall'emigrazione di massa all'impoverimento del suolo e dei mari, ogni giorno si combatte per sopravvivere in un pianeta che sta diventando sempre più ostile e sempre meno adatto al nostro benessere e alla nostra specie.
La vita sul nostro pianeta non si estinguerà, ma sta cambiando in modo imprevedibile, offrendoci scenari inimmaginabili e cui probabilmente non saremo pronti. Leggi l'articolo
Questa è la conseguenza di anni di bugie e di occhi chiusi sui combustibili fossili, sulla plastica, sulla deforestazione, azione che ha portato beneficio a pochi azionisti arcimiliardari e guerre, desertificazione e povertà a gran parte degli abitanti del pianeta.
Il Sistema si è dimostrato incompatibile con la salute nostra e del pianeta.
Oggi è il momento di ricordarlo e di intraprendere azioni che dettino una brusca virata da questa rotta fallimentare.
Un compito che non può cadere tutto sui cittadini e sulla buona volontà del singolo. Il Segretario generale, António Guterres si è rivolto ai potenti della Terra, ricordandoci che è il clima la nostra peggiore preoccupazione.
Questa è la
storia di una band e di un libro, entrambi di successo, che si sono alimentati
a vicenda.
I frequentatori
di Sharm el Sheikh dei tempi che furono (quelli in cui tutti si lamentavano che
era troppo affollata, e non c’erano pesci e gne-gne-gnè) avranno almeno sentito
parlare dei Deco Boys. Il duo si divertiva a parodiare canzoni-tormentone in
chiave subacquea e, ogni tanto, a scriverne di proprie. Si esibiva al Camel, al
Pirate’s, al T2 e sulla terrazza dell'Ocean College, il Phoenix bar.
Shamandura Blues,
Anarchy in the Reef e le stupende (anzi magistrali) I Will Survivee Knocking on Adel’s Door sono roba loro. Quel duo è stato
fonte d’ispirazione per Figli di una Shamandura. Ma a mia volta sono stato una
delle loro fonti d’ispirazione.
Probabilmente la prima.
Era l’inverno del
1998. Mentre aspettavo in una saletta che il diving di Sheikh Coast decidesse
se assumermi come staff ‘permanente’ mi venne in mente che
la vita delle guide subacquee era un blues. Buttai giù due righe di testo. Siccome non sapevo scrivere la musica mandai a memoria un riff che, secondo me,
ci stava tutto.
Tornando a casa,
tutto contento con il nuovo lavoro in pugno (svernare a Sharm era difficile) passai
da Thomas Chabanne, collega freelance del diving che stavo lasciando. Gli
cantai il riff e le prime due strofe. Lui scoppiò a ridere e la sera stessa si presentò a casa mia con la chitarra. Il giorno dopo si unì Steve Turley, con un’amica.
Ognuno aggiunse qualcosa al testo, un giro di chitarra, due parole in arabo, un fiocchetto qua, uno
là, e quando tutto fu abbastanza colorito e presentabile decidemmo che si poteva affrontare il
pubblico. Era nata ‘Shamandura blues’ , la prima canzone dei Deco-Boys.
Il primo bar a
darci spago fu il Pirate’s. Eravamo solo io e Thomas. Steve, come al solito, ci
aveva paccato. Fu un vero fiasco. Non rise nessuno. Ci applaudirono in due, ma perseverammo:
lo scopo era divertirci ma anche puntare il dito sulle condizioni di lavoro
degli istruttori e dei divemaster, sulla sicurezza delle immersioni. La satira
nasceva spontanea, sui valori condivisi dalla nostra comunità subacquea.
Steve, l’animale
da palcoscenico, fece la differenza. Ci
presentammo in tre, stavolta al Camel bar. Io facevo il ‘rais’ con la kufya in testa e
intervenivo sulle strofe in arabo. Fu un successo pazzesco. Chris, il manager
del bar, ci offrì un fottio di birra gratis. Esham Gaber, big boss del Camel,
venne a farci i complimenti.
- Ragazzi – disse
– questo è il modo giusto di affrontare certi problemi! -
Un solo track,
però, era poco per continuare a farsi offrire la birra ogni mercoledì.
Steve e
Thomas buttarono giù a tempo di record Anarchy in the Reef, sulla base dei Sex
Pistols, e Polly Carbone, sulla base della più ritrita (e sfigatissima) ballata irlandese, e poi
There are no Sharks in Jackson Reef. Ci misero meno di una settimana La mia
presenza sul palco si faceva sempre più sporadica. Il mio contributo allo show
e alla stesura era ormai marginale. Erano partiti in tromba, impossibile star
loro dietro.
Ma la collaborazione non finì mai. Ci bastava un pomeriggio su in terrazza da Steve, una
chitarra, mezza bottiglia di rarissimo Jack Daniel’s e il mare davanti. E a
sera ‘Thistlegorm Slave Song’ era finito. Anche la bottiglia. A cena ci
raggiunse Kaja, coinquilina di Steve. Ci bacchettò subito.
- Dovete metterci
il nitrox – comandò – il Thistlegorm andrebbe fatto solo in Nitrox, almeno per
le guide, e i diving centres devono capirlo! –
Detto fatto:
- Gimme Nitrox and me return to Thistlegorm – divenne l’ultima
strofa.
E chissà se quella canzone, cantata davanti a fior di manager di diving centers, non
abbia imposto la svolta epocale: nitrox per tutti. Almeno per le guide.
Avevo conosciuto
Thomas per primo, ma fu con Steve che finii per abitare, anche se per
neanche sei mesi. Lui era tornato dall’Honduras, io dalla Spagna, Franz dall’Australia
e c’eravamo ritrovati tutti lì,in quell’appartamento
col terrazzo sul mare, fonte di ispirazione.
Fu lì che scrissi
Figli di una Shamandura. Con quei pazzi intorno. Scrivevo di notte, ovviamente. Di giorno ero nell'acqua salata. Lui e
Franz mi raccontavano altre storielle, i fatti della giornata, e io ci ricamavo su e aggiungevo, e aggiungevo. Lì, in quel secondo piano balconato di Sea Street nacquero altre due canzoni: ‘The Hundred Club’, e ‘Padi Drinking Tables’. Steve era
fatto così: gli bastò dare un’occhiata a questo mio disegno in basso per tirare giù
musica e testi esilaranti. E a me bastava ascoltare un loro nuovo testo
graffiante per aggiungere un’altra scena, o un altro punto di vista, al libro.
Quel flusso magico
non si fermò neanche quando andammo ad abitare ognuno per conto proprio, sempre rigorosamente
sulla Sea Street. Un giorno, al Pirate's bar, sentii Steve lamentarsi di
un dolorino alla spalla, e io gli cantai una strofa per sfotterlo: Knock knock
knoking on Adel’s door… bussando alla porta del dott. Adel, il titolare della
camera iperbarica. Il giorno dopo al Camel bar c’era gente con le lagrime agli
occhi dal ridere. Ne avevano fatto una
canzone geniale, forse quella di maggior successo della band. Anche se per me la
più bella è ‘I Wanna Dive Like You’, ispirata al Libro della giungla, la storia
di un subacqueo senza speranza che con occhi trasognati osserva la fluida pinneggiata
del divemaster mentre lui, dopo cinque minuti, ha (di nuovo) 20 bar. In seguito me ne servii a man bassa, per farne un sacco di altre cose. Inclusa una canzone: Subacqueo.
I Deco Boys
ebbero un successo strepitoso. Ormai davano veri e propri concerti, per
centinaia di persone. Circolavano le loro magliette. Anche Figli di una Shamandura aveva fatto breccia in
molti cuori. Alla presentazione del secondo libro, Cani Salati nel Profondo Blu,
al Fanar si presentarono in cinquecento. Si andò avanti a ballare sui tavoli e
sul bancone del bar fino alle due del mattino. Ormai seguivamo due rotte
diverse, due filoni diversi, anche se Steve, in seguito, pubblicò anche lui due
libri di successo. Ovviamente in Inglese.
Me l’ero quasi
dimenticata, questa bella storia di reciproche influenze. Poi una settimana fa mi
arriva un pacco dalla Germania. Era un pacco di Laura. Tornata da Sharm mi
mandava due lattine di Stella e un DVD originale dei Deco-Boys.
Beh, non sto a dirvi
che mi sono commosso. Quegli oggetti spuntavano in mezzo all’inverno, come una vecchia
polaroid di quando eravamo convinti di vivere in paradiso. Convinti, con qualche ragione, di
meritarcelo tutto.
Cheers.
Alcune canzoni dei deco-boys le trovate sul mio canale youtube