Foto © Jean-Marc Takagi |
Una storia che ricorda Playa Grande.
Rubo il titolo ad
uno dei miei racconti più amati perché questa storia sembra uscita da lì. Si sta svolgendo adesso, in questi giorni, in un arcipelago forse
per noi remoto, ma la sua vicenda è emblematica. Lo è per gli attori, per lo
scenario e per le dinamiche che la abitano.
C’è una baia che ricorda
il Paradiso in Terra, con la vegetazione tropicale ai fianchi e alle spalle,
costellata di calette dove rivoli e cascate scendono dalle montagne per
gettarsi in mare. In fondo alla baia c’è una grande spiaggia attraversata da un
piccolo fiume cristallino.
L’unica presenza
umana è rivelata da un villaggio ormai semiabbandonato, dove vivono soltanto
diciotto anime. Anime per lo più in pensione o indaffarate altrove. Riposano
appena più numerosi i morti nel cimitero, con le sue tombe che guardano l’Oceano
Pacifico.
La spiaggia si
popola ogni tanto di surfisti, quasi tutti locali. Turismo di massa e mondo
moderno sembravano aver ignorato quest’oasi preistorica che la gente dell’isola
chiama affettuosamente Jurassic Beach. Ma il mondo moderno non tollera enclavi
di passato, la sua dottrina è crescita, profitto, espansione. A discapito della
bellezza e della biodiversità. Il mondo moderno usa tutti i mezzi, dalle
minacce alla corruzione, dal sabotaggio alla falsificazione, delle notizie e dei
documenti presentati per i suoi scopi.
Dove si svolge
questa storia ve lo dirò più avanti. Sappiate che si svolge sul nostro pianeta.
Chi ha letto Caraibi riconoscerà Julian, l’Eroe di Playa Grande e Alvaro, il
boss della spiaggia. Perché tutto il mondo è paese davanti alla rapacità, come
davanti al riscaldamento globale.
Foto © Tsuyoshi Satomura |
Un muro di cemento.
Tra poco su
Jurassic Beach lo costruiranno, quel muro. Sarà alto sei metri e mezzo e lungo quasi duecento. Ne volevano erigere uno lungo più del doppio. Sostengono che l’erosione della spiaggia minaccerà il villaggio. Ma non è vero:
le foto presentate alla Prefettura di Kagoshima (ecco un altro suggerimento sul
luogo) ritraggono la spiaggia nel momento della sua massima erosione dopo un
tifone nel 2014. Quel tifone lì fu particolarmente violento. Il massimo della
marea coincise col massimo della bassa pressione, con il massimo del vento e
col massimo delle onde. E, probabilmente, col massimo dello sfruttamento della
sua sabbia, perpetrato in mare e nel letto del fiume cristallino, a beneficio
di una compagnia mineraria. Poi la spiaggia ha continuato a espandersi. Quella è l’unica spiaggia del Paese dove è
stata fotografata una tartaruga liuto, la specie più grande del mondo (ovviamente
in pericolo) nel 2002. Una spiaggia che sembra perfetta per deporre le uova, ma
da tempo non vengono censiti nidi di tartaruga.
Il Paese è il
Giappone, un paese tanto capace di stupirci per la sua tecnologia e
organizzazione, per la gentilezza che trovi in strada, per l’arte e la cultura che
ti sopraffanno. Quanto nel lasciarci basiti per certe posizioni sull’ambiente,
soprattutto marino. D’altronde anche l’Italia lascia basito il resto del mondo
per come tratta le sue risorse, naturali, umane e culturali.
L’isola è quella
di Amami e fa parte dell’arcipelago delle Ryūkyū, un lungo arco che si stende
dalle isole maggiori verso Taiwan per novecento chilometri. Okinawa, la più
famosa, se ne sta quasi al centro dell’arco. Una storia antica e complessa,
quella delle Ryūkyū, con una lingua ed una cultura che si differenziano da
quelle del Giappone. Laggiù anche la religione indigena è diversa, e non è raro che ci si rivolga a una Yuta, una sciamana, per un consiglio sulle
questioni importanti. Per moltissimi versi questa storia è identica a quella
che ho ambientato ai Caraibi, con la differenza che la costruzione di un
albergo sarebbe stato un bene, in questo caso.
Foto © Jean-Marc Takagi |
L’eroe di Jurassic Beach
Ci sono più eroi,
in questa vicenda, che si battono per proteggere una bellezza naturale ed un
raro ecosistema dal cemento. Il più agguerrito di tutti si chiama Jean-Marc
Takagi. Jean-Marc, come Julian, sarebbe pronto ad incatenarsi ai bulldozer pur
di salvare quella spiaggia. Nato e cresciuto a Parigi, a sette anni amava la natura
e sognava l’Amazzonia. Si domandava perché gli umani costruissero giungle di
cemento. A diciotto anni scappa in Giappone, da cui ha origine la sua famiglia.
Finisce alle Hawaii, a studiare ingegneria. Le facoltà di ingegneria delle Hawaii forse non sono le più famose del mondo, ma sicuramente lo sono le onde dei quell'arcipelago, dove Jean-Marc può praticare il surf,
allora la sua attività preferita. Ci metterà qualche anno a trovare il luogo
dove stabilirsi ed esprimere quel bisogno di contatto con la natura selvaggia,
trasformandolo in quotidianità. Lo trova molti anni dopo, scandagliando le immagini di Google Earth.
“Amami, vista dal satellite, era l’isola più verde di tutte.”
Le spiagge della
sua infanzia in Giappone erano state tutte erose, devastate dalla costruzione
di moli e muri di cemento. Me le ha fatte vedere su Google Maps, le spiagge
della sua infanzia, descrivendomi com’erano. E nel guardarle pensavo alle mie.
Il Giappone
produce tanto cemento quanto ne producono gli Stati Uniti, con una popolazione
di poco più di un terzo di quella americana e una superficie neanche
lontanamente paragonabile. Lo produce e lo usa tutto: secondo alcune scale le
coste giapponesi sono cementificate per oltre il 50% della loro estensione. L’isola
di Amami non era certo esente da questo flagello, molte spiagge erano state
‘protette’ dall’erosione con muri di cemento, altre baie erano state
trasformate in porti. Ma le montagne e la vegetazione fitta rendevano impervi molti
dei suoi luoghi. Laggiù Jean-Marc si trasforma in guida naturalistica,
accompagnando turisti in vere e proprie avventure in ambienti
selvaggi, circondati da un raro ecosistema. Un ecosistema capace di ospitare
specie ormai estinte altrove. La spiaggia di Katoku, Jurassic Beach, è ancora
uno di quei luoghi selvaggi. Ma un giorno il mondo moderno si accorge della sua esistenza. E inizia a sfruttare le sue risorse in modo invisibile.
“I primi a notare cambiamento sono stati i surfisti. Le onde non rompevano allo stesso modo, era sparita il sand-bar la secca sabbiosa al largo. Non so dire se per la manipolazione del letto del fiume o per le attività illegali di una certa compagnia mineraria che prelevava la sabbia al largo, ma qualcosa era decisamente cambiato nel fondale già prima del tifone. La mancanza di quella secca sommersa ha dato via libera al mare. Non c’era più nulla a rompere le onde prima che s’avventassero sulla spiaggia.”
Foto © Jean-Marc Takagi |
Per fare il vetro
e il cemento serve sabbia. All’inizio la compagnia mineraria ha iniziato a prelevare dal letto
del fiume, dove anni prima erano stati rinvenuti reperti del periodo Jōmon, corrispondente
al nostro neolitico. Poi in mare, illegalmente, approfittando del buio della
notte, qualcuno continua a prelevare illegalmente.
Le prove raccolte da Jean-Marc dopo il tifone del 2014 dimostrano che la spiaggia di
Katoku subì un restringimento, ma poi ha ricominciato a espandersi. Artefice
del miracolo è proprio quel fiume cristallino. Una volta lasciato in pace nel
suo corso parallelo al mare, il fiume ha ripreso ad alimentare la spiaggia in
tutta la sua lunghezza.
“Ci sono stati dei tentativi, documentati, di far tirare dritto il fiume verso il mare, scavando un canale perpendicolare alla spiaggia. Appellandoci alla legge sulla trasparenza in vigore in Giappone, insieme alla Nature Conservation Society of Japan, abbiamo richiesto la documentazione alla Prefettura sulle opere fluviali. Dopo non poche resistenze siamo entrai in possesso di immagini ritoccate o datate 2015, cioè successive agli interventi sul fiume e precedenti al riassestamento naturale della spiaggia. Hanno cominciato nel 2013, un anno e mezzo prima dell’evento di erosione, ma ci ha inviato solo documenti risalente al 2015."
"Le loro attività cessano ad aprile 2017, subito dopo che abbiamo iniziato a indagare. Penso si siano preoccupati molto. Malgrado le richieste non ci è stata fornita alcuna documentazione precedente al 2015, né alcuna spiegazione sul perché sono stati condotti gli scavi lungo il fiume. Tutti i nomi delle compagnie appaltatrici erano cancellati. Nessuno è stato in grado di fornire un motivo per quei lavori. Solo dati sui costi, ma nessuna spiegazione. E le uniche foto depositate in prefettura sono del 2015. Nessuna delle foto in Prefettura documenta la riespansione della spiaggia!”
La prima cosa che
viene in mente è un atto di grande stupidità o inettitudine ma, va ricordato,
questi due pericolosi mali frequentano poco il Giappone. Jean-Marc ha un
sospetto:
“I vecchi giapponesi mi raccontano che negli anni ’60 e ’70 i sabotaggi erano all’ordine del giorno. Le imprese costruttrici minavano i fianchi delle montagne per provocare frane e poi ottenere gli appalti per metterle in sicurezza.”
Già dal 2016,
dopo che le intense piogge alimentarono il fiume, la spiaggia tornò ad
espandersi. Ma il progetto del muro viene approvato lo stesso: quella di Katoku
beach, sulle carte depositate, è un’espansione fantasma: le foto depositate, lo ricordo, sono tutte del 2015.
Jean-Marc e
l’associazione Amami World Heritage, per pagare avvocati e professionisti in
grado di raccogliere prove e dati di qualità, lanciano un crowdfunding. Contattano
un ricercatore dell’Università di Okinawa, un biologo marino specializzato
nella cementificazione delle coste. È stato testimone e relatore della
scomparsa di vaste aree di corallo nella sua isola a causa delle barriere di
cemento.
Foto © Jean-Marc Takagi |
Cemento che uccide
In un paese
flagellato da molti tifoni e qualche Tsunami, in previsione d’un aumento del
livello dei mari, qualcuno può restare perplesso sull’opportunità di
impedire la costruzione di un muro. Ma basta scandagliare alcune immagini,
nella nostra memoria di vita vissuta, o di repertorio se non siamo avvezzi a
lunghe spiagge selvagge, per accorgerci che davanti a ogni spiaggia veramente profonda
non c’è mai un muro, di cemento o roccia che sia: dietro ogni grande spiaggia
c’è sempre un fiume, o delle dune. O, come a Katoku, tutt’e due. Le dune sono
un capolavoro di resilienza: non si oppongono alla forza dei venti o dei mari
ma la assecondano. Compattate dalla vegetazione assorbono e rilasciano acqua e
sabbia gradualmente. I dati raccolti dopo lo Tsunami del 2004 in Indonesia
dimostrano che lungo le coste che ospitavano dune e mangrovie si sono
verificati i danni minori. È questo il motivo per cui in alcuni laghi vengono
impiantati dei canneti per proteggere coste e manufatti dall’erosione. Dune,
mangrovie e canneti hanno la stessa efficacia dei muri di cemento, con una
enorme differenza: in quelle piccole foreste naturali trovano cibo e riparo
innumerevoli specie. Uccelli marini, insetti, pesci e piccoli anfibi usano foglie,
steli, radici per deporre le loro uova, costruire nidi, allevare i piccoli al
riparo dai predatori. Le dune soprattutto, come i fiumi, regolano l’umidità
degli arenili mantenendo la sabbia compatta e pesante, pronta a resistere ai venti.
Nidi di tartaruga su Jurassic Beach |
Due strane sorprese.
Il nostro
ricercatore da Okinawa, dopo 15 ore di traghetto dormendo sulle stuoie, alla
giapponese, sbarca sull’isola di Amami. Attraversa le montagne e finalmente
giunge a Katoku, a Jurassic Beach. Come mette piede su quella spiaggia ha la
prima sorpresa. Davanti a lui qualcosa che negli ultimi anni non era mai stato
registrato. Trova ben otto nidi
di tartaruga. Emersi da uno stargate. I rapporti degli anni precedenti,
condotti da personale non specializzato, avevano registrato sistematicamente il
valore zero davanti alla casella tartarughe. Zero nidi e zero avvistamenti di
tartarughe in mare. Così per anni.
“Eppure i surfisti mi hanno detto di averne avvistate spesso in acqua. Eravamo in molti dell’idea che la spiaggia e le acque antistanti fossero una zona importante di riproduzione.” Riferisce Jean-Marc.
Se la prima sorpresa
giunge gradita, nella seconda le cose prendono una piega sinistra. Il lavoro del
ricercatore è anche quello di intervistare con metodo scientifico la comunità
locale. Comincia col capo del villaggio. Ogni villaggio, in molte comunità, si
munisce di un responsabile che si occupa di trattare con l’amministrazione pubblica
e di disporre lavori, tra i quali il muro.
“Il capo villaggio? S’è rifiutato di parlare con me, mi ha scattato due foto e poi s’è chiuso in casa” mi ha raccontato il ricercatore.Noi italiani sappiamo tutti cosa pensare davanti a un atteggiamento del genere. Pensiamo una parola sola. Mafia.
“È un tipo minaccioso e violento”Un paio di testimoni l'hanno detto, ma non hanno voluto esporsi. Tra gli abitanti del villaggio solo uno si è schierato apertamente contro la costruzione del muro. Gli altri si son chiusi in uno strano silenzio.
“Qualcuno del nostro comitato, al di fuori del villaggio, si è ritirato. ‘Pensa al lavoro, al benessere della tua famiglia’, gli è stato detto. Il capovillaggio è il fratello di uno dei papaveri nel consiglio di amministrazione proprio di quella compagnia mineraria interessata alla zona” riferisce Jean-Marc.
Intanto però, le
casseforme sono già in fila alle porte di Katoku. Attendono le betoniere. Volevano
tagliare dei pandani in cima alle dune per favorire il transito dei pesanti
mezzi. I pandani sono piante resistenti agli ambienti salini ed offrono un
ottimo servizio alle spiagge: consolidano le dune.
Il granchio eremita viola.
“I pandani non sono una specie protetta - ha risposto la Prefettura - in compenso stanno argomentando su un’altra specie protetta che invece si nutre dei loro semi: il granchio eremita viola presente su questa spiaggia. È evidente quanto sfugga la big picture.”
Ma qui la mafia
c’entra poco. C’entra semmai la cronica incapacità delle ‘moderne’
amministrazioni di confrontarsi non solo con la scienza, ma con le nozioni più
elementari sulla natura. Un problema globale. Ma ci sono modi diversi di reagire
allo stesso problema. Da noi sarebbero partiti subito i sassi e le molotov, gli
attivisti di Amami invece hanno piantato altri pandani. Lo hanno fatto con
l’aiuto di una scuola elementare locale.
Su quei germogli è stato posto un cartello:
“Questi pandani sono stati piantati dai bambini”
Nulla più di quel
cartello ci parla del pianeta e in quali condizioni lo stiamo consegnando alle
future generazioni, quelle di Greta Thunberg, che si trovano sfidare non ancora
maggiorenni una natura devastata e un mondo politico che ignora i suoi problem. Un mondo in cui i prepotenti hanno
libertà d’azione.
La sciamana
Una delle scuse
per proteggere una manciata di case con un costoso muro è il cimitero. Un paio
di anni fa a Yakushima, un’isola dello stesso arcipelago, ero rimasto colpito
dalla meravigliosa vista di cui godeva un cimitero minuscolo. Da sopra un
rilievo davanti alla spiaggia piccole steli di pietra sembravano godersi il
respiro del mare. Restai in silenzio per chissà quanto. Che grande rispetto dei
morti devono avere, m’ero detto, per non far sorgere qui sopra un Ryo-Kan, o un
lussuoso eco-lodge. Sarebbe un posto magnifico per il turismo. Probabilmente,
conclusi, questa è una cultura che conserva antiche tracce animiste. Non mi
sbagliavo. La religione locale si basa su divinità che rispecchiano le forze
naturali e il culto degli antenati. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se a
Katoku è stata interpellata una Yuta, una sciamana. Ma anche il suo verdetto è senza
appello:
“Antenati e spiriti della natura non amano il cemento.”
Come andrà a
finire lo sapremo solo dopo il 30 agosto. Quel giorno un giudice visiterà la
spiaggia, parlerà con le persone presenti e si farà una coscienza.
Chissà se
Jean-Marc, come Julian, dovrà incatenarsi ai bulldozer per evitare lo scempio. Io
spero di no, ma in questo possiamo contribuire tutti, semplicemente firmando
una petizione, che in un paese come il Giappone ha ancora il suo peso. Possiamo
dare una mano promettendo di andare a visitarla, Jurassic-Beach, l’ultimo
paradiso di Amami, ma di farlo solo se non ci sarà un muro di cemento. Possiamo
sperare di trovare ancora quei cartelli, semisommersi dalle piante cresciute e divenute
alte e più forti. Come la coscienza ambientale delle nuove generazioni.
Firma adesso la petizione http://change.katoku.org/
Quel che a Katoku succede naturalmente, in Olanda costa 87 milioni.
Jean-Mark Takagi Twitter:
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