10 giu 2020

storia grottesca di intelligenze superiori - racconto pulp




C’era una volta un pianeta azzurro. 
Era il terzo iniziando a contare da una stella chiamata Sole.  Era azzurro perché la sua atmosfera e i suoi oceani erano limpidi, e la radiazione blu è l’ultima a sparire quando attraversa un fluido trasparente. Adesso è ocra e grigioverde, e sapete perché? Tutta colpa di una scimmia che un tempo viveva laggiù.

Pur avendo un solo cervello, quella scimmia si definiva intelligente. Non che fosse del tutto stupida, bisogna ammettere che era molto capace. Ma le scimmie, si sa, sono bravissime soprattutto a far danni. Quella scimmia lì iniziò molto presto. Quando scoprì il fuoco e credette di poterlo gestire, incendiò la savana. Ma non si diede per vinta, se ne andò in cerca dei semini che più gli piacevano e li sparse sul terreno annerito, ormai libero da arbusti. Ne nacquero una caterva di piantine. Allora decise di riutilizzare i semi delle spighe più grandi, o che ne producevano di più, e così via. Erano nate l’agricoltura e la manipolazione genetica.

Scoprì presto che non gli andava di lavorare da sé tutto quel terreno, così fece fare il lavoro agli animali. Erano ovviamente erbivori, i grossi carnivori non erano per niente propensi al farsi mettere un giogo al collo per trascinare aratri in giro. Ora però gli erbivori toccava foraggiarli, toccava fare altro spazio per far crescere le piante di cui si nutrivano. Detto fatto, ricominciò a bruciare e ad abbattere boschi. Presto i capi-scimmia divennero così ricchi e potenti che si fecero costruire missili e astronavi gigantesche per andare a trovare gli dei del cielo. Per costruirle, però, servivano molte braccia, e i buoi non erano così bravi nelle costruzioni, quindi catturò altre scimmie per fargli fare il lavoro. Purtroppo, però, quelle astronavi non si mossero mai. Le avevano fatte di pietra, pensate un po’. I primi progettisti di astronavi avevano scelto i materiali più pesanti.

Molto più avanti, continuando a scervellarsi su come far lavorare qualcuno (o qualcosa) al posto suo, la scimmia inventò le macchine a vapore, con le quali poteva spostarsi e fare buchi nel terreno alla ricerca dell’acqua. E così, scavando e trivellando un giorno un buco eruttò un liquido nero. 
Si accorse presto che quella robaccia puzzolente bruciava che era una meraviglia. Sì, il fuoco gli piaceva un casino, e ogni volta che scoprivano un nuovo pozzo le scimmie si mettevano a ballare in circolo.
Rimestando la parte che non bruciava (una morchia fangosa) con altre sostanze tossiche scoprì la plastica. Poteva farci tessuti, tubi e contenitori leggerissimi, praticamente indistruttibili. E pensare che fino ad allora, non sapendo che farsene, l’aveva spennellata sulle strade, quella robaccia nera. Se prima aveva danzato intorno ai pozzi, adesso la scimmia faceva le capriole di contentezza. Mica si rendeva conto che quel materiale indistruttibile non poteva gettarlo via come una volta faceva con i cestini di paglia e le noci di cocco. Scoppiò un bel casino.



Quella roba non si distruggeva sottoterra né in mare. Ma era convinta, la scimmia, che ci fosse spazio, tanto spazio su quel pianeta: per la sua specie, per i pascoli, per le piantagioni, per costruire le città. E per lasciare plastica in giro. Era convinta, la scimmia, che per far estinguere una specie abile e intelligente come la sua ci sarebbe voluto per forza un asteroide o una guerra atomica. E così andò avanti a bruciare foreste e petrolio, a tagliare alberi, a fabbricare oggetti di plastica. Se qualche scimmia metteva in guardia gli altri maschi della specie, questi si grattavano il sistema riproduttivo. Solo le femmine avevano qualche dubbio, ma avevano delegato le decisioni ai maschi, perché questi ci tenevano un sacco a comandare. Erano anche fisicamente più forti, e molto, molto irascibili. Poi un giorno si accorse che gli animali, soprattutto quelli nel mare, mangiavano la plastica, fino a restarne soffocati. Si accorse che quella che riuscivano a riciclare facendone dei tessuti, lasciava in giro dei pelucchi che piacevano molto alle larve dei pesci e dei crostacei, e che quindi anche il plancton stava sparendo. Ancora mi ricordo la faccia di quella scimmia davanti al microscopio: aveva su l’espressione tipica delle scimmie quando tolgono il tappo dal fondo di una barca. Certo, il pianeta sarebbe sopravvissuto, ma iniziò a muoversi per sbarazzarsi di quella scimmia tossica. E, purtroppo, anche di tante altre specie innocenti. 
Non lo fece di punto in bianco, eh! Il pianeta mandò segnali ed avvertimenti.
Ovviamente la scimmia non capì.

Adesso sapete perché, fratelli e sorelle polpi e polpesse, abbiamo rubato le loro astronavi per venire fin quassù, sul quarto pianeta. L’allevamento di gamberetti ci sta dando molte soddisfazioni e i cianobatteri stanno facendo un buon lavoro nell’ossigenare le pozze. Tra qualche anno avremo un’atmosfera tutta nuova. Ora che sapete perché siamo qui, e per colpa di chi, vi metto in guardia: non credo ce ne siano rimaste, di scimmie laggiù, ma so che alcune di loro, quelle ricchissime, potrebbero essere ancora vive in qualche bunker. Dubito che riescano a costruire altri razzi. Glie li abbiamo fregati tutti noi, ma non si sa mai. Se ne vedete spuntare una non esitate ad aprire la vasca di Giorgio, il calamaro gigante. L’abbiamo portato quassù con noi proprio per questa evenienza.






questo articolo è stato pubblicato su ScubaZone#49 col titolo PULP FICTION

sempre sui polpi e sul loro futuro nello spazio
https://www.imperialbulldog.com/2019/12/30/peter-godfrey-smith-subacqueo-e-filosofo-lindagatore-di-altre-menti/
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