Sui fotografi subacquei ho scritto molto. A volte facendo arrabbiare qualcuno. Quelle che sono state spesso percepite come critiche non erano altro che risultati di osservazioni sul campo. Pubblico l'indagine antropologica con le dovute scuse ad una specie che ci ha dato veramente tanto - senza ironia - e che fatica a competere con i cambiamenti. Per esempio: i diritti d'autore.
Le
origini.
30.000 anni
fa l’essere umano non conosceva la fotografia, ma sentiva già il bisogno irrefrenabile
di catturare il mondo che lo circondava. Per poi stenderlo sulla rupe del
salotto buono. Se le rocce fossero state meno difficili da scalfire o colorare
avrebbe riempito ogni parete disponibile con i suoi ricordi di viaggio, di
caccia, con spiedini di mammuth serviti su letti di uva passa e prugne secche
e, inevitabilmente, i soliti ammazzamenti e tanta, tanta pornografia. Non erano
diversi da noi. Erano noi senza l’iPhone. Ventimila anni più tardi, grazie ai
social, abbiamo riempito il web delle stesse cose, risparmiando le rupi.
L’essere umano è un fotografo compulsivo. Steve Jobs lo sapeva bene e mise in
commercio un telefono che conteneva una trappola mortale: la migliore
fotocamera da tasca. Poi arrivò la GoPro, e fu il finimondo. Soprattutto
sott’acqua.
L’adattamento
all’ambiente acquatico.
Le immagini
subacquee, si sa, stregano a morte. Il mondo tridimensionale, come quello dello
spazio, lasciano a bocca aperta anche il più insensibile dei discendenti dei
pittori rupestri. Se non provi niente davanti ad una bella immagine subacquea
discendi da una forma aliena. Il salto evolutivo lo compiono Hans Hass a
Jacques Cousteau, un salto che in 007 Thunderball, girato per il 40%
sott’acqua, chiude il cerchio con i nostri istinti rupestri. Stai esagerando.
No, non sto esagerando, tu guarda la scena madre e cosa trovi? Omini che
nuotano, sagomine che si infilzano con le fiocine, che si accoltellano. Come ai
vecchi tempi.
Una nuova
specie.
Nasce quindi
una nuova specie di fotografo, una sorta di umano-drone che vola nelle tre
dimensioni. Ci riesce così bene e si sente così a suo agio che comincia ad
identificarsi con il soggetto. Il fotografo (o videografo subacqueo) non è più
l’occhio, non è più il punto di vista, è il soggetto stesso. Nel ripetere il gesto
rupestre sott’acqua il fotografo subacqueo si trasfigura e come i mitici
serpenti che si divorano a vicenda partendo dalle code, per fondersi in una
unità dinamica. Salvo incazzarsi se poi il soggetto non fa quello che vorrebbe
il fotografo.
La misura del
fotografo subacqueo è la sofferenza. Combatte con costi spropositati per le
attrezzature, con obsolescenze che arrivano più veloci delle multe arretrate. Sa
che ogni oggetto elettronico portato sott’acqua sviluppa la maledetta tendenza
ad allagarsi. I suoi tentativi di impedire questo spiacevolissimo evento impegnano
importanti risorse e producono stress. Opera in un ambiente che non è mai caldo
abbastanza per chi si ostina a tempi di permanenza mostruosi, spesso
nell’immobilità assoluta. I suoi viaggi non sono duri e seminati di trappole d
d’intoppi; le compagnie aeree puniscono le attrezzature con pesanti franchigie
e riservano alle batterie per le torce la stessa accoglienza che riserverebbero
ad un seguace dell’Isis. Infine, il processo di fusione, quel legame profondo con
il soggetto tende spesso rompersi. Può prelevare un tritone e trasportarlo in
una zona infestata da corone di spine, attendendo la scena dell’attacco al
diabolico echinoderma per usarla in una campagna di salvaguardia del tritone
stesso, ma il gasteropode può decidere di saltare la cena, contro i suoi
interessi. E quelli del reef.
Grazie
per tutto il pesce.
Dovevo
questo piccolo contributo ai fotografi subacquei, bistrattati nei miei libri e
in alcuni articoli per i comportamenti di pochi. Lo dovevo almeno agli
appartenenti alla suddetta specie che ci hanno riso su. La fotografia è un
mestiere da cacciatori stoici, pazienti e, di questi tempi, da gente che ricava immagini ben fatte, documenti di valore
scientifico. Dall’immensa rupe del web le belle immagini si rubano e si
replicano, tutti postano di tutto e il mestiere non viene più riconosciuto come
un tempo. Oggi siamo tutti fotografi, come siamo tutti scrittori. Siamo il bias
danzante dell’universo.
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