6 lug 2025

Due parole sugli Oasis... e sul vivere per sempre




Ma soprattutto: cosa c'entrano gli Oasis con 'Sbandati come plancton nella corrente'?

La reunion degli Oasis, sempre che Liam e Noel non si sfascino (di nuovo) le chitarre in testa è una buona notizia. Una buona notizia che ha a che fare con me, la mia vita e quello che scrivo. Sbandati come plancton nella corrente è un libro con una colonna sonora. Ci sono i Verve, i Groove Armada, i Pulp, i Suede, i Radiohead e, naturalmente, gli Oasis. 




L’era glaciale.

Nei primi 90 avevo smesso di comprare nuove uscite. La New Wave s’era giustamente stufata di sé stessa. Non puoi andare avanti in eterno con drum-machine che sanno di plastica, strani tintinnii e vocalizzi alla Bryan Ferry. Non avevo bisogno di comprare novità perché esse mi inseguivano, mi braccavano peggio di un Renato Zero che ti stana nei ristoranti italiani all'estero. 

Il Rock era morto, così cantava il coro dei critici, ed io m'ero dato all'archeologia. Sembrava che l'intero genere fosse stato assorbito per essere smantellato come succede con le acquisizioni delle corporation. Dopo il Progressive e la New Wave, alla sistematica distruzione del canone era sopravvissuto solo il Punk, un rock da midollo spinale che però non era il Rock, era una sua corrente neurologica. Il Grunge mi sembrava un’operazione di contrabbando: ti rifilo un po’ di Rock con influenze Punk. Dimenticarono però di reclutare la serotonina. Non era per niente una tragedia. Tra i contemporanei c'erano Dead Can Dance, Ozric Tentacles e Matt Johnson (the the). Passavo giornate in compagnia dei Creedence Clearwater Revival, T-Rex, The Move e Procol Harum. E poi c'era il buon vecchio Blues. Lo trovavi ovunque dal vivo, insieme a birra, hamburger e salsicce. 


Pozzanghere 

Cammino lungo un canale nei dintorni di Manchester. Ha appena smesso di piovere e le pozzanghere riflettono le nuvole stracciate e a batuffoli dell’estesa mezza stagione britannica. Sono piombato da poco nel mondo di Asterix e i Britanni, un mondo di steccati che incasellano i backyard, i giardini sul retro. Un mondo dove si parla di meteo e dove gli orticelli crescono perché a innaffiarli ci pensa il cielo. In quel mondo il sole, quando si manifesta, scatena sincero entusiasmo ed un rilascio istantaneo di serotonina allo champagne. Mi ritrovo a fischiettare un ritornello appena ascoltato: 

“Maybe, I don't really wanna know how your garden grows cause I just wanna fly”

Forse non m’interessa proprio di sapere come va il tuo giardino perché voglio soltanto volare.

“Lately, did you ever feel the pain, in the morning rain as it soaks you to the bone?”

E poi, hai mai sentito il dolore nella pioggia del mattino che ti inzacchera fino all'osso?

 


Nel cielo del rock appare una supernova allo champagne. Quanto sarebbe durata? Avrebbe vissuto per sempre? 


Live Forever

Neanche me ne accorgo e sto partendo di nuovo, stavolta per le isole Cayman. Finirò in Messico, e poi tornerò alle Cayman. Ed è a Grand Cayman che mi accorgo di avere un appuntamento tutti i giorni alle sei del pomeriggio, ora di chiusura del centro sub. A quell’ora la playlist di Radio Gran Cayman manda in onda una delle canzoni più belle che abbia mai ascoltato. È Champagne Supernova. La voce graffiata e l’energia, quell’energia che è quasi un marchio di fabbrica della ditta Oasis, non le avevo riconosciute all’istante. Intanto io ritardavo, scientemente, la chiusura del centro. Oppure chiudevo e restavo dentro ad ascoltare. Da solo. Quella canzone sapeva di mare. E parlava di me. Poi torno a Londra. Scopro che gli Oasis sono dappertutto, sono diventati l’Inghilterra stessa. Sono i Beatles. 




- Perché ho postato una cover dei Pretty Reckless? Perché contiene una chicca che conferma la tesi. 


Una Pasqua del Rock

Se i Beatles elevarono il rock a culto di massa, gli Oasis hanno ripristinato quel culto raccattando tutto ciò che il rock aveva seminato in cinquant’anni di frammentazioni. L’avevano rimesso insieme con una energia che non si percepiva da anni. Se gli anni Sessanta sono stati segnati da un’ondata irripetibile di pensieri critici ma positivi, come nella Summer of Love, nonostante la guerra fredda lo dobbiamo anche al rock. Come dobbiamo agli Oasis e ad altre band aver scritto la colonna sonora degli anni più sereni e pieni d’entusiasmo che abbiamo mai avuto: gli anni Novanta. E per quanto riguarda i Figli di una shamandura, be'… gli Oasis, i Verve, i Blur, i Pulp e i Suede, ma anche i Morcheeba ed i Massive Attack sono stati parte della colonna sonora di un'epoca memorabile.

Ma gli italiani storcono spesso il naso.

Sulla band piovono ovviamente critiche. Le leggo soprattutto in italiano. Immagino sia difficile provare simpatia per qualcuno che prende a testate i suoi fan, che si mena ad ogni occasione e si fa bannare da un certo numero di compagnie aeree e di navigazione. Invece, non si tratta del loro comportamento. Le critiche vertono su tutt'altre faccende: i presunti plagi dei riff, riff di George Harrison e dei T-Rex. Mi prendo la briga di ascoltare i riff incriminati: ti devi sforzare parecchio per riconoscere le somiglianze ma in ogni caso: quali riff ti vuoi inventare che non suonino neanche lontanamente come già ascoltati? Puoi fare del Rock senza che qualche frammento dei tuoi predecessori ti resti attaccato? Beethoven aveva preso spunti da Mozart? Assolutamente sì. E Wagner aveva preso spunti da Beethoven? Certamente! E Mahler non aveva preso spunti da Wagner? I detrattori degli Oasis mi ricordano tutti una magnifica battuta di Salieri nel film Amadeus:

“Ma perché, perché Dio avrebbe scelto un fanciullo osceno come suo strumento?”




Reunion

Onestamente, me lo aspettavo. Succede in un momento davvero particolare. Succede quando finisco la prima bozza del libro che chiude la trilogia diFigli di una… Shamandura’. Il titolo che ho scelto è LIVE FOREVER: la canzone che Noel Gallagher, nella sua consueta modestia, ha definito la più bella mai scritta nella storia del Rock. Non sono d'accordo con la sua valutazione. Sono però d'accordo su quello che ha dichiarato, sugli intenti: 

"Era stato scritta nel bel mezzo del grunge e di tutto il resto, e ricordo che i Nirvana avevano un brano intitolato ‘I Hate Myself and Want to Die’, e io pensavo... Beh, io non me la bevo, cazzo. Per quanto mi piacciano Kurt Cobain e tutta quella merda, io non lo accetto. Non posso permettere che persone come lui arrivino, si facciano di crack e dicano di odiarsi e di voler morire. È una fottuta stronzata. I ragazzini non hanno bisogno di sentire queste assurdità".

Live Forever come titolo non oltrepassa lo scrutinio del lungo processo di pubblicazione. Sbandati come plancton nella corrente suona ancora meglio e non rischia di creare equivoci tra i lettori disattenti. Resta però intatta la colonna sonora. La vita è uno spettacolo nel quale possiamo essere attori, spettatori o registi. spesso a prescindere dalle nostre intenzioni. La vita, comunque, merita una colonna sonora e il Brit Pop s'è manifestato come il segno di un'epoca che va dalla caduta del Muro alle Torri Gemelle. Chi s'è accorto del culo che abbiamo avuto in quei pochi dodici anni probabilmente ascoltava il Brit-Pop. Esattamente come i protagonisti di Figli di una... Shamandura. E va a finire che a loro volta si riuniscono. Perché come gli Oasis, vogliono, anche loro, vivere per sempre, anche se i sogni d'infanzia spesso si sciolgono come neve al sole. Ma a volte no.

1 lug 2025

La Libreria del Mare raduna i Fratelli della Costa


E' un martedì milanese ma sembra di essere a l'Havana. Io sono in ritardo di mezz'ora - e di una settimana e passa nel postare questo resoconto - ma le temperature sono in anticipo di un mese. Vincerà l'aperitivo stile Milano-da-bere in un bar all'aperto o uno stuzzichino al chiuso in libreria per ascoltare due tizi, una produttrice cine-tv (Gabriella) e uno scrittore per caso (io), che parlano di un libro dal titolo strano?

Qualcuno forse se ne sarà accorto: la foto - mossa - nella head è stata scattata proprio all'Havana, ne La Bodeguita del Medio, uno dei due bar preferiti di Hemingway. Quello in foto non ha nessuna pretesa di assimilazione, è solo un visitatore felice di essere lì a respirare l'aria ed i suoni di un luogo sacro, un luogo che ispira. La libreria del Mare a Milano, è un luogo molto simile. Non servono mojitos ma libri. Ed è un punto di riferimento per la letteratura di mare in Italia da cinquant'anni. Cinquant'anni tra poco. Tutta boiserie, antiche travi e scaffali, ha un desk che sembra una consolle o una plancia di comando di una barca. Chissà se l'hanno concepita così apposta. Alessandro e Simona sono sempre pronti ad accoglierti con un gran sorriso, con prosecco e stuzzichini e con su l'aria di chi pregusta la festa. Sanno già che la mia non sarà una presentazione accademica. 


Arrivano piano piano, i Fratelli della Costa, un po' da tutti i mari e da tutte le coste: Ale da Zanzibar, Giorgio e Simone dalle Maldive, Jessica da Sharm el Sheikh. Non hanno preso un aereo per me, intendiamoci, erano di scalo nei paraggi e hanno deciso di farmi una sorpresa. Se fosse stata una presentazione ad inviti non sarebbe riuscita meglio. Come l'avranno saputo? Con i social sono di una incompetenza davvero imbarazzante. Sospetto l'intervento professionale di ScubaPortal e di Nutrimenti_Mare.

A bruciapelo Gabriella Manfrè, la relatrice, mi domanda: chi sono i figli di una Shamandura? Ce li ho davanti, siamo noi, membri della generazione X che hanno deciso di fare delle loro vite quello che sognavano: portare le persone sott'acqua, possibilmente in un mare splendido o insegnare ai vacanzieri come si fa. Tutti i santi giorni, come mestiere, come routine. 

Eccoci.


E poi c'è Pietro, fotografo subacqueo di fama internazionale, autore, sempre in prima linea sui temi ambientali, e poi Steve che ho conosciuto dopo una discussione - segnata da eleganti insulti - su Poverosub un forum di subacquea, per poi scoprire che eravamo molto simili, sott'acqua e nella testa, al punto che un giorno me lo ritrovo a Sharm. Jacopo e infine Claudia, allora divemaster stagionale di primo pelo, che mollò tutto per inseguire quel sogno condiviso: un ufficio tra i coralli (cit. Paolo Giacomin). Eravamo molti di più, ovviamente, e chiedo scusa a chi non menziono espressamente, ma rivedere i vecchi amici che come plancton nella corrente ancora vagabondano per i mari, ritrovarsi per puro caso in una libreria storica di Milano, ha messo in vibrazione le corde più profonde.

Lo so che mi volete bene tutti e il vostro affetto è un privilegio. 

Sappiate che ve ne voglio anch'io. 

Ma tanto.

Grazie di cuore.


Claudio





19 giu 2025

Sbandati Come Plancton Nella Corrente è ora in tutte le librerie!




Grazie a Nutrimenti-Mare, l'ultimo della trilogia di Figli di una... Shamandura è ora in tutte le librerie. 


Scrive ScubaPortal:


Tornano i personaggi più irregolari della subacquea narrativa.
È uscito in questi giorni Sbandati come plancton nella corrente, il nuovo romanzo di Claudio Di Manao, edito da Nutrimenti Mare, già disponibile in libreria e su Amazon.

Si tratta del terzo capitolo della serie Figli di una Shamandura, iniziata oltre dieci anni fa e diventata nel tempo un cult tra lettori e subacquei. Con il suo stile ironico e visionario, Di Manao riporta in scena i protagonisti delle sue storie ambientate tra il Mar Rosso, le bombole, i sogni e le derive personali. Qui l'articolo completo di ScubaPortal.


Con l'uscita del libro iniziano le presentazioni

Il 24 giugno alle ore 19 la prima presentazione nazionale si terrà, neanche a dirlo, a La libreria del Mare di Milano, un punto di riferimento storico (e nazionale) per tutto ciò che ha a che fare con l'acqua salata. Una libreria che mi adottò dai tempi in cui Figli di una Shamandura circolava quasi sottobanco (non avete idea che incubo con le fatture, le bolle etc... per un libro che allora veniva stampato solo in Egitto)

Dal blog del La libreria del Mare:

Il libro riprende le vicende dei protagonisti di Figli di una Shamandura, un cult tra subacquei e habitué del Mar Rosso. Dieci anni dopo, un gruppo di amici – istruttori e guide – si ritrova a Sharm‑el‑Sheikh per disperdere le ceneri dell’amico Tom nel suo luogo d’immersione preferito. Ma l’obiettivo si rivela tutt’altro che semplice: nessuno ricorda esattamente dove si trovi quel luogo. Si imbarcano allora su un caicco, navigando tra avventure e colpi di scena, ben più complessi di un semplice viaggio in mare.


Il 28 giugno, alle 18 Sbandati come plancton nella corrente arriva ammare! Verrà presentato a Bergeggi, presso il Triton Diving Club, gestito da due Figli di una Shamandura ad honorem.




Vi aspetto numerosi!

Su questo blog troverete tutte le date e le novità, 

ma anche su Scubaportal e sui mie profili Instagram e Linkedin 

(punto) 

Abbracci e buone bolle a tutti


Claudio

https://www.nutrimenti.net/nutrimenti-mare/





26 mag 2025

Che fine hanno fatto i figli di una shamandura? - intervista su ScubaPortal

 



Se lo saranno domandati in molti, che fine avessero fatto. Io invece qualche idea ce l'avevo. Incuriosito da un mio post precedente su questo blog, Simone di ScubaPortal mi ha incontrato per farmi delle domande, visto che era passato un anno e mezzo dall'ultima volta che ci eravamo visti.

Qui c'è tutta l'intervista, spero vi piaccia 👇

https://www.scubaportal.it/intervista-claudio-di-manao-libro-2025/

Spoiler: contiene una sorpresa.😎

19 mag 2025

COME E’ NATA L’IDEA DI FIGLI DI UNA SHAMANDURA?

 


COME E’ NATA L’IDEA DI FIGLI DI UNA SHAMANDURA?

 

Eravamo tutti a Sharm el Sheikh, tutti istruttori subacquei con un po’ di mari alle spalle e arrivava un altro inverno. Era il momento giusto per partire alla scoperta del prossimo paradiso delle immersioni, le immersioni che non hai ancora fatto. Ma anche del luogo dove diventare adulti, ovvero: mettere su un nostro centro subacqueo. Farlo in Egitto, all’epoca, era complicatissimo. Steve fu il primo a partire, per l’Honduras. Seguì Billo, che poi finì in Thailandia, io e Franz ce ne andammo in Australia. Lui ci restò per un anno buono, io tornai a Sharm el Sheikh, dalla mia compagna di allora, e poi me ne andai con lei a ficcanasare in Spagna. Le email che ricevevo erano di protesta: gli amici lontani non ricevevano più i miei resoconti da Sharm el Sheikh e questo li indispettiva. Pensai che meritassero un libro. Su di loro. In una mansarda al sud della Costa Blanca iniziai a riempire fogli scritti a matita ascoltando Oasis, Verve, Transglobal Underground, Robbie Williams, Fatboy Slim, Underworld, Ozric Tentacles e Dead Can Dance. Ma soprattutto gli Oasis. Tra un giro in canoa ed una immersione, nacque il primo capitolo di Figli di una Shamandura: quello delle ‘avvertenze’. Descrivevo il mio primo giorno a El Tor, alla ricerca di un visto e, dato che c'ero, degli articoli casalinghi che mancavano in casa. Ovvero tutti. Una nostalgia pazzesca. Verso settembre arriva una email di Steve dall’Honduras: dice che al sud dell’Egitto, a Marsa Alaam, il governo egiziano sta costruendo un aeroporto, sta vendendo terreni sul mare a 1 dollaro al metro quadrato ed ha tolto le restrizioni alle società composte da stranieri.   

A ottobre siamo tutti di nuovo lì, a Sharm e l Sheikh, 

in quattro nel solito appartamento, quello grande con vista mare, quello dov’erano nate tante canzoni dei Deco-Boys. Tiriamo su un po’ di soldi lavorando da free-lance e a dicembre partiamo per Hurghada armati di mappe, GPS, attrezzature subacquee e fuoristrada. La prima cosa da verificare era l’aeroporto. Prendemmo d’assalto l’obiettivo, un compound nel deserto, all’alba Il direttore dei lavori, un olandese, invece di ordinare alla security di spararci, ci offrì un caffè e ci mostrò un diorama, una planimetria e un capannone zeppo di scavatrici. L’aeroporto lo stavano costruendo davvero.

Finimmo tutti a Wadi Lahmi, in un diving-lodge tendato. Io avevo con me gli appunti e un laptop e la sera scrivevo e poi traducevo per gli amici quello che scrivevo e loro ridevano, anche perché non c’era un asso da fare. Eravamo soltanto noi quattro, poi il manager e due guide del centro subacqueo. E il generatore. Non comprammo nessuno dei lotti in vendita. Anche se potevamo permetterci un campo da calcio a testa scoprimmo che dovevamo costruirci un albergo con piscina e tutto, e che un lodge spartano di poche stanze non andava bene per ottenere la concessione. “E allora le tende?” Le tende? Erano di un generale delle forze speciali. Fine. Tornammo tutti alla solita routine sharmese. Gli spunti per il libro aumentarono esponenzialmente.




Max, il manager del centro subacqueo, sembrava preoccupato. 

Si domandava dove fosse finita la mia fame di immersioni notturne, con le quali ero solito arrotondare bene lo stipendio. Ancora peggio, non mi si vedeva più in giro per i bar. Più incuriosito che preoccupato, m’invitò a cena. Gli dissi che stavo scrivendo un libro e lui – non finirò mai di ringraziarlo per questo – prese il telefono e svegliò nel cuore della notte Alberto Siliotti, il patron di GeoEgypy – Geodia, l’editore delle preziosissime guide alle immersioni: “C’è uno del mio staff che ha scritto un libro…” Ci mancò poco che Alberto lo mandasse affanculo ma anche lui era incuriosito e il giorno dopo mi chiamò per chiedermi se avessi delle pagine da mostrargli. Gli portai le prime quaranta pagine stampate. Le ficcò con poca convinzione in una cartella e se ne andò di fretta lasciandomi da solo a El Fanar. Mi richiamò tre giorni dopo. Non riuscivo a capire cosa stesse dicendo perché rideva forte. Bene, dunque. Era febbraio. A maggio il libro era finito. Il resto della storia lo conoscete già.

 

Figli di una… Shamandura era piaciuto così tanto che volevano tutti il seguito. 

Gli spunti continuavano a fluire e presto arrivò Cani Salati nel Profondo Blu. Ebbene, questi due libri dai titolo grotteschi mi guadagnarono molte collaborazioni con magazine, documentaristi e quotidiani. Ma ero in trappola: i lettori volevano che raccontassi sempre la stessa storia e io non sapevo come uscirne. Ne pubblicai altri, fuori dal tracciato, ma nessuno raggiunse il successo di quei primi due. Sapevo però che i lettori andavano accontentati: come me soffrivano la mancanza di quei Figli di una Shamandura che animavano i miei racconti. Da parte mia, sentivo il bisogno di quella sorta di ‘terapia di gruppo’ che uno scrittore intraprende con i suoi personaggi. Sarebbe stato un libro diverso dagli altri, sarebbe stato l’inno ad un’età dell’oro che abbiamo vissuto, o soltanto sognato, tutti insieme, lettori e protagonisti. E un giorno mi sono detto: 

“Quasi quasi li accontento, ma per prima cosa deve essere una storia che prende me, che mi fa fare tardi, che mi rende uno zombie, con i miei eroi che m’inseguono, che dialogano nella mia testa mentre scelgo le zucchine al supermercato… uno di quei libri che si scrivono da soli. Se no non se ne fa niente.”

 

Attento a cosa desideri, scrisse Richard Bach, perché i tuoi desideri potrebbero avverarsi.

26 apr 2025

le bond-song che non ce l'hanno fatta

 

La musica è una parte fondamentale della nostra vita. Come il ridere e il piangere, la musica fa bene. Inizia qui un breve viaggio. Non aspettatevi aggiornamenti puntuali. Partiamo da un cult megagalattico: le canzoni di Bond.   

Cominciamo: la più bella in assoluto è Skyfall e non ho nessuna voglia di discuterlo. Ne ero convinto appena l’ho ascoltata e leggendo i pareri di illustri critici ne sono convinto ancora di più. Adele non è il genere di cantante che mi aspettavo per un tale exploit. A parte le vecchie glorie come Shirley Bassey e Tom Jones ce n’erano a bizzeffe di band e musicisti con grandissime Bond-style songs nelle corde. Ma a tirar fuori la perfetta Bond-song è stata Adele. Skyfall… fa paura.


La ricetta? Jazz, blues e cripto-tango.

I film di Bond, come concept film, sono seminali  nella storia del cinema. Negli anni '60 e le Majors non sanno ancora molto del merchandising. Sulle Title song hanno le idee chiarissime: le canzoni, scalando le classifiche, vendono il film. Le canzoni devono alimentare il culto. Le prime Title Song ricordano il Bond’s Theme, scritto da Monty Norman e riarrangiato da John Barry. È un pezzo jazz che fa un uso esplosivo di fiati e percussioni, annunciati da una chitarra dai toni scuri, scale e accordi in minore. È la quintessenza della tensione. L’atmosfera è elettrica, misteriosa. C’è dentro il pathos dei segreti irrivelabili e dei rischi mortali. Il tema di Bond parte teso e diventa catartico, come le basi segrete della SPECTRE che Bond fa esplodere per salvare il mondo. Sono gli anni '60, dicevamo, e la siccità da serotonina del grunge e del dark è ancora sotto l’orizzonte. I temi di Bond consento ancora un glimpse sulla meraviglia. Come in Where Are You, Shirley Bassey, Moonraker. Torniamo a John Barry: è un jazzista ma il tango sembra essere la sua filigrana segreta. Almeno per un certo tipo di lavori. Oltre a Bond ha firmato altri temi per film d’azione, temi che contengono elementi della sanguigna danza argentina. Due esempi?

Ipcress


Attenti a quei due


Ancora dubbi sul tango come ispirazione?

 

Le peggiori performance

Le Title Track che sto per elencare hanno contribuito a farmi storcere il naso su film di bond altrimenti validi - o quasi -: For Your Eyes Only (Sheila Easton), The View To A Kill (Duran-Duran) e The Living Daylight (A-ha) e poi Writing’s on the Walls (Sam Smith) di gran lunga la più irritante, anche perché preferita a Spectre, dei Radiohead. I Radiohead! E ancora Madonna, in Die Another Day e Gladys Knight con Licence to Kill (1989). Ce ne sono altre ma non metto i link perché ho a cuore le good vibes di questo post e di chi mi legge. Se volete torturavi, cercateli su YouTube per conto vostro. Paul McCartney, con Live And Let Die, ci spiattella una delle sue peggiori cafonate nella storia del rock. Nel frattempo, c’erano band che sfornavano canzoni Bond-style con o senza l’intenzione di farla diventare una Title-track, ma con tutte le carte in regola.

 

Le migliori performance wannabe

Ho raggruppato qui quelle che sono riuscito a rintracciare. Se ne trovate altre segnalatemele, aggiornerò il post. Il criterio è quello elencato prima: deve contenere tensione, paura e mistero. Senso di meraviglia e Tango filigranato.

 

 10 - Mad About You - Hooverphonic

Descritta da Wiki come una Bond-style song, il video non lascia dubbi sull’ispirazione. Gli Hooverphonic, una band poco conosciuta in Italia ma capace di piccoli capolavori è la band che più di tutte ha prodotto canzoni in Bond-style. Se vi va, fatevi un giro sui vari YouTube e Spotify, vale la pena. In questa canzone c’è molto Bond ed il video suggerisce atmosfere da guerra fredda. Eccovela:


09 - Supremacy – Muse

Questo pezzo ha tutto: tensione, esplosioni l’immancabile tango subliminale. Al suo posto è stato scelto Skyfall, di Adele. Supremacy è bellissimo, ma con il pezzo di Adele - onestamente - non c’è paragone.


08 - You Love Me To Death – Hooverphonic

Qui ci siamo molto di più, l’atmosfera è perfetta: misteriosa e carica di tensioni. Il tango c'è ma è evanescente – il brano andrebbe accelerato per intuirne i passi - c’è comunque un omaggio: un suono che ricorda il cimbalom, usato da John Barry in Ipcress e altri lavori.


07 - Spectre – Radiohead

Questa canzone è stata scritta dai Radiohead su richiesta della produzione per un film Bond. Ha tutto, ha il mistero, la costruzione drammatica, rigorosamente in minore. E… niente, la produzione preferisce Writing’s on the Walls di Sam Smith, che diventa anche il singolo n°1 nelle chart britanniche. Da stracciarsi le vesti.



06 - Hardcore - Pulp

Questo pezzo, anche se non aveva la minima intenzione di diventare una Bond Style Song, trasuda temi e atmosfere Bond da tutti i pori: ci sono i fiati che sparano, gli accordi scuri, rigorosamente in minore, l’atmosfera misteriosa, un buon accenno di tango e un senso di meraviglia perversa. Finirà male.


05- Tomorrow Never Lies – Pulp

E niente, è un pezzo, magnifico, ma gli era stato chiesto di scrivere una Bond-Style Song e loro se ne sono usciti con un pezzo brit che ricorda i Rolling Stones di ‘You Can’t Always Get What You Want’. Non ci meraviglia che abbiano scelto il lavoro di Sheryl Crow.


04 - The Pretty Reckless – 25

Anche se il testo non ha a che fare con i temi di Bond, questo è un pezzo che trasuda azione, tensione e mistero secondo i canoni di Bond.


03 - Straw - The World Is Not Enough - Straw

Un bel pezzo di questa band britannica. Purtroppo competeva con il puro genio : i Garbage. 


02 - Lana Del Rey – Shades of Cool

Lana Del Rey è stata interpellata per una Bond Song. L’ha prodotta e pubblicata ma ve la risparmio. Di nuovo, al suo posto hanno scelto Writing On The Wall, di Sam Smith. Ma questo brano di Lana Del Rey, Shades of Cool, mi dà le vibrazioni, forse ancora più profonde, di You Only Live Twice, di Nancy Sinatra (007 - si vive solo due volte). I puristi mi scuseranno se posto una versione dall’audio pessimo, ma l’ho scelta per debunkare una diceria: Lana Del Rey sa cantare.  


01 - Avicii - Addicted To You

È questa, secondo me, la canzone Bond-Style perfetta. Ha tutto quel che serve, e ce l’ha al massimo.


Le cover

Parlare, o peggio, far ascoltare una cover a un purista è come ficcargli dell’ortica nelle mutande. Sono tuttavia quasi sicuro che Bjork e Propellerheads, nelle mutande di puristi, potrebbero avere l’effetto della menta e della cannella.

Eccone due:

Propellerheads & David Arnold


Infine Bjork (il capolavoro)

Va detto, per la cronaca, che il canone Bond viene infranto da John Barry stesso con We Have All The Time In The World (Al Servizio Segreto di Sua Maestà) cantata nientemeno che da Louis Armstrong. Bellissima. Segue You Live Only Twice, cantata da Nancy Sinatra. 




 a presto!